Archivio per gennaio, 2009

Da una sponda all’altra

Posted in Senza categoria on 29 gennaio 2009 by gaelimmortal

E ci ritroveremo in quell’Inferno, dove le nebbie luminose indicano la via per il Paradiso. Termana la scala, il vuoto è padrone di quello spazio. La voce maestosa che tuonava rendeva l’ambiente immenso, benchè non si potesse avere la minima percezione delle distanze. Fuoco e ghiaccio si univano, a formare quella nebbia spessa che circondava ogni centimetro del corpo, imprigionava quasi le mani, e produceva una fantasmagorica luce, inquietante a onor del vero. Un ponte di cristallo si para davanti al cammino, troppo tardi per tirarsi indietro. Almeno la caduta è breve. Un fiume di latte e miele ci condanna all’Inferno, ancora una volta siamo schiavi delle passioni. Pace all’anima, gioia a coloro che hanno sconfitto lo spirito. Si rifugiarono nel corpo per ritrovare contatto con la materia, con l’essenza della realtà. Ora nuotano in quel fiume di pece e calore. E ci ritroveremo in quell’Inferno, dove le nebbie luminose indicano la via per il Paradiso. Mi rimaneva un pianto coriaceo, mentre attraversavo quel ponte opaco e trasparente al medesimo tempo. Dipendeva dal colore della nebbia, Quella pasta grumosa poteva cambiare di tonalità come un attore professionista cambia intonazione alla voce. Irritato da tanto pavoneggiarsi da parte di un essere informe e non vitale, sulla sponda destra si trovavano le grotte di rame, così calde, roventi, a tal punto che nessun uomo avrebbe potuto attraversarle indenne. Tanto meglio non esser più uomini. Almeno non più mortali. Oppure l’anima rimane mortale dopo essere rimasta senza corpo. Domande senza speranza, Poichè la voce si fece ora di terrore, e mille alfieri neri calarono dal soffitto di una stanza accuminata. Lance portavano, e alle loro cinture chiavi e bastoni. Cinsero d’assedio le uscite, e la voce di fece corpo, e quest’ultimo implorò il nostro perdono, prima di consentirci di riporre i nostri peccati in un cassetto. E ci ritroveremo in quell’Inferno, dove le nebbie luminose indicano la via per il Paradiso.

Nell’abbraccio della quietitudine

Posted in Senza categoria on 29 gennaio 2009 by gaelimmortal
La morte è la mia compagna, con la quale passo la vita, sfidando un destino avverso ed i temporali occasionali. Danzo per sempre insieme a lei, un ballo di eterna attesa, aspettative rotte ed amori infranti. "Amami ardentemente" disse, con quella voce melliflua, conducendomi nella sua tana di oscurità. Ancora una volta ero in balia di me stesso e della più tetra delle sorti. Morte dell’anima in cambio di amore eterno, fu sancito il patto, e come moderno Faust, ottenni il più grande dei doni immortali. Ma quando vennero gli anni, e la fine mi raggiunse, non contento di aver vissuto, rifiutai il patto, recisi il contatto per mia suprema volontà. Ma la Morte non tollerò questo comportamento, e nella sua dimora di ombra e lucida tenebra, mi concesse un’ultima possibilitù. Amarla, ed infine unirmi a lei. Scelta ardua per un uomo, amare la mietitrice di tutte le ere, la suprema incarnazione dell’eterno dolore. La mia fu una risposta affermativa, e così fui unito a lei, in un’abbraccio d’amore e termine. Le sensazioni provate non sono esplicabili, dal dolce bacio freddo come il ghiaccio, ma che rendeva il cuore estatico, sino al tocco celestiale di mille voci che circolavano nelle nostri menti, chiedendo tempo, pietà, vita. Poi tutto finì, e mi ritrovai solo in quella grotta colma di nebbia e umidità, scura per la sua mancanza di luce. Ero solo, e nelle mie mani reggevo la lunga falce della giustizia e della verità. Indossavo le vesti ricamate con lacrime e sospiri, ed i miei occhi non riflettevano più alcuna emozione. Uscito alla luce del Sole, non riconoscevo alberi o nuvole, solo il grigio sapore dell’eterno vagare. Mi misi in viaggio, consapevole del mionuovo destino, consapevole dei miei obblighi nei confronti di colei che mi aveva donato l’amore. Fu un vecchio il primo. Avvicinatomi, egli s’allontanò. Ed il sapore del sangue, non era mai stato così tremendamente inebriante.

Dopo l’addio

Posted in Senza categoria on 27 gennaio 2009 by gaelimmortal
Una mandida patina di sudore bloccava lo sguardo nei miei occhi. Sentivo contorcersi le budella nel mio stomaco. Ma non era fame. Lei se ne stava andando, e portava con se una parte della mia vita. Avrei potutto gridare – Non andartene! – oppure – Ti prego, resta con me! – ma non lo feci. Aveva preferito rimanere in silenzio, guardando i suoi passi sulla sabbia dorata. Le onde sulla spiaggia cancellavano due o tre di quelle impronte, mentre il vento si preparava a soffiare per una lunga e fredda notte. La malinconia non si era ancora impossessata di me. Solo un leggerissimo sentore di angoscia, quello che ti porta a tuffarti nel mare, con una gran pietra al collo, e senza riserva d’ossigeno. Per fortuna dura solo qualche seconda, non fai in tempo a muovere i tuoi passi vero il limitare dell’acqua, che già la malinconia si impossessa di te. Ad un tratto, il mondo sembra cinereo, svaniscono i colori, ogni singola sfumatura diviene uguale all’altra, e solo il ricordo del blu, del verde, del rosso e del giallo ti permette di focalizzare il paesaggio. Il gusto di ogni cosa, anche il rosolio più dolce, è come quello della terra bagnata, ogni profumo ovattato, tutto ti ricorda lei. Ma ti ricordi che se ne è andata, e non credi ritornerà mai. Sai bene che non lo farà. Sarebbe sciocco. Una tempesta all’orizzonte, e il vento si trasforma in un soffio bagnato, che intristisce ogni bellezza della natura. Mangio la mia cena, fredda come il mio cuore, e vado a letto. Sembra di scorgere un profilo al buio, sarà la forma del cuscino. Le lenzuola profumano ancora di lei. Piango per tre secondi, poi mi contengo e guardo in faccia il mondo. Prendo il destino per il bavero, gli sputo in un occhio, e mi consolo pensando che domani, per dieci secondin sarò in balia di una sensazione di tragico abbandono. E quei dieci secondi, dureranno abbastanza, per avvicinarmi alle onde, toccarle, assaporare il loro abbraccio salvifico. Ma non saranno mai abbastanza quei secondi, e il mio dolore, rimarrà nel calore del mio corpo intatto.

Fratello Morte

Posted in Senza categoria on 4 gennaio 2009 by gaelimmortal
Siamo sempre la falce di qualcun altro, ecatombe per altri uomini, ignari di essere in pericolo. C’è di certo chi con una sola mano riuscirebbe a decretare la fine del mondo, non v’è dubbio, uomini di potere, politici spregiudicati, criminali incalliti, che mirano più alla grandezza che all’ideale portato avanti. Una categoria limitata però. Esiste invece una moltitudine di uomini, che senza accorgersene, portano il dolore nei cuori, distrugono le famiglie, annientano ogni porzione di speranza verso il futuro. Sono quelli che tradiscono in amore, e lasciano che l’amaro calice di veleno sia bevuto da coloro che avevano amato falsamente. Sono le persone che guardano di sbieco il colore della pelle degli altri, storcono il naso di fronte alla miseria e deridono la guerra. Sono coloro che hanno per unico obiettivo nella vita il denarono o la felicità. Vivono in case decorate di mobilia preziosa, ma non hanno il tempo di osservare come gira il mondo. Crescono i figli nei valori di giustizia e impegno sociale, ma evitano che frequentino lo sporco barbone o l’immigrato senza valori. Molto spesso con altri valori, migliori. In fondo, meglio una serata di eccesso, causato dal troppo denaro, piuttosto che un salutare porsi domande sulla vita. Pensare fa male, bere aiuta. E così si trasformano questi figli in altre morti ambulanti, che sterminano le famiglie, gli amici, con un tocco di rabbia o di ebrezza. Essi sono la tragedia del nostro secolo. Altro che eserciti e milizie. La truppe della morte, cecchini senza mira, assassini inconsapevoli. Una morte senza motivo, è forse peggio di una morte concepita. Solo la natura ha il diritto di porre rimedio alla vita. Ma il libero arbitrio, è fatto anche per errare. E così facciamo, mercanti di morte, fruttivendoli maligni, dove ogni mela, è quella avvelenata.

La promessa del male

Posted in Senza categoria on 3 gennaio 2009 by gaelimmortal
Un volto, di mille occhi e di una bocca oscena, prospera nel buio dell’iperspazione, contornato da danzatori asessuati, che si riproducono con melodie di una conturbante bramosia. Un mondo perverso, cadente e rugiadoso. Ho visto questo nel mio ultimo viaggio, e sono qui per raccontarvelo. Non stupitevi se mi sentirete a volte sorpreso, altre volte meravigliato. Ho imparato ad accorgermi del male che ci pervade a miglia di distanza. Ultimamente la mia mente ha appreso le arti più diaboliche, della sopraffazione, della demenza e del surreale dominio della ragione. Incomprensibilmente, sono stato tacciato come criminale, degenerato. Non ho mangiato i miei fratelli e cugini, come quell’uomo che incontrai sulla Terza Luna, ma sono stato capace di assaggiare il sangue di cento vergini. Ancora una volta lo rifarei, adoro il sapore del ferro sulla mia bocca, labbra sporcate da ebrezza e morte. Poi vidi anche una donna contorcersi per il piacere, mentre le iniettavano un veleno sopraffino, una vera chicca anche per quel mondo di continuo orrore. Il suonatore pazzo non cessava la sua ipnotica melodia, e le braci ardenti del fuoco eterno, in un calderone di cristallo, emettevano oscenità e malsani fumi giallastri. La purulenza di Janus, principe di mille tempi era tale, che ad un banchetto in suo onore, ritrovò finalmente il suo occhio sinistro, scambiato da una succube per prelibato boccone. Una scena disgustosa. Ma più passa il tempo, più la mia fame si ingigantisce, e ora inizio a vedere di buon occhio le carneficine, la tortura, squisita delizia per il mio palato in decomposizione. Malgrado questo, domani sarò giustiziato. entrerò a far parte del ciclo vitale ancora una volta, e poi ancora, ancora, ancora. Fino a che le ceneri ridiverranno terra, e dalla terra, i miei figli conquisteranno il mondo. Ed allora, la melodia e le danze dell’ebrezza malefica, risuoneranno dal centro dell’universo, sino alle vostre gole ricolme di fango.

La luce dei ghiacci

Posted in Senza categoria on 2 gennaio 2009 by gaelimmortal
Giustizia e neve, capriccio di una natura incostante e perentoria. Il corpo fu ritrovato lacerato, dal freddo e dai lupi artici. Scavate le gote, occhiaie inconcepibili. Forse incubi pazzeschi lo avevano fatto tremare, più per il terrore che per il freddo, o forse un banale sonno arretrato. Ma come vegliare per secoli è mai possibile? Aveva creduto impossibile veder un’aurora boreale, così era rimasto, dalla fine di un secolo all’inizio di quelli successivi a cercar con lo sguardo il lucente brillare dei ghiacci. Ora chi lo aveva recuperato, non conosce la storia, la vicenda che aveva consumato quelle carni. Come poteva, un cadavere è pur sempre un essere umano ridotto al silenzio. Ma anche i più silenziosi, hanno da narrare una storia. Più grande il silenzio, più grande la storia. Quando camminava per quelle lande ghiacciate, non aveva ancora capito quale fosse il suo posto nel mondo. Zoppicava per il freddo costante, e non voleva riposarsi ne mangiare. Aveva uno scopo nella vita, voleva compierlo prima che il tempo a sua disposizione terminasse. Non aveva idea che avrebbe avuto un’eternità, dal punto di vista umano. Insomma, arrivato ad un promontorio che dava sulla costa, dove il mare non riusciva ad infrangersi sulla banchisa, data la spietata temperatura dell’acqua, decise di sedersi, appoggiando una coperta per terra, giusto per non gelare, e di osservare l’orizzonte. Gli sembrava la cosa migliore da fare a quel tempo. Aveva abbandonato una famiglia, gli amici ed un buon lavoro, solo perchè in quel momento gli era parsa la cosa migliore. Un anno o due, perduti. Poi venne un bagliore nel cielo. Si trattava di un lampo, che con la sua carica, aveva spazzato via la speranza. Non aveva visto nulla dunque. Ancora una pausa di mezzo secolo. Nulla all’orizzonte pensava, una frase che probabilmente aveva fatto impazzire e tremare di paura numerosi esploratori. Naviganti ignari che la terra si nascondesse e poche miglia di distanza, abbastanza perchè l’occhio umano non la potesse percepire. Iniziava ad essere stanco, sentiva il bisogno di chiudere i suoi occhi, oramai svuotati di qualunque bagliore di vita. Era come un fossile, una mummia lasciata dopo un rito funebre a vegliare su una costa ingrata. Il tempo non era dalla sua parte, gli elementi atmosferici si contendevano il diritto a ferirlo. Prima il vento, poi la pioggia, mentre il ghiaccio aveva bloccato le sue gambe. Anche volendo ora, non avrebbe avuto più alcuna possibilità di andarsene. ancora un secolo, e poi anni ancora, sempre di più, mentre le mani cedevano, la testa si inclinava pesantemente sotto il peso della fatica e del sonno. E fu in quel momento, quando la fronte pendeva verso il freddo suolo, che si incendiò il cielo. La volta celeste fu uno sfavillio di luci e onde, mentre il mare rifletteva quell’immensità radiante. Lo sguardo del penitente, era però rivolto a terra, incapace di rialzarlo. Aveva perduto l’occasione che tanto aspettava, ma non aveva in fondo al cuore solo delusione. Aveva vissuto per ciò che desiderava, e questo tanto bastava. Impossibile dire quanto tempo rimase lì, prima che lo trovassero. Seppellito in una profonda buca, era uno dei tanti nomi inesistenti, vicino a soldati mai riconosciuti, e volti che nemmeno si credeva fossero mai morti. Nessuno di quegli uomini conobbe mai la sua storia, e nessuno, vide mai l’aurora boreale.

Per l’Est chiedere più tardi

Posted in Senza categoria on 1 gennaio 2009 by gaelimmortal
Un paese ed un vento. I principali attori di una vicenda umana e surreale. Un paese pieno di uomini, gente di ogni etnia e rispettosa della diversità. Un vento carico di spezie e balsami, aromi lontani e vicini, delicati e agrodolci, a volte forti e conturbanti. Sino nell’animo. Diecimila anime annusanti nel vento, afferrano solo parzialmente la stupenda armonia che lega ogni singolo afflusso di rabarbaro con il segunete di cardamomo. Basta una manciata di secondi per comprendere che il paese dove il vento soffia, è soleggiato, ulivo ricoprono i suoi lievi pendii, il mare lo bagna, forgiando coste di sabbia bianca, quasi perlacea, che al sole rilucica, sembrando un immenso prato di candidi gigli. Si coltivano tè, spezie e aromi sui pendii, vicino agli uliveti. Non c’è bisogno di molta cura, la natura provvede incessantemente a fornire la giusta dose di manodopera, facendo sì che il lavoro umano divenga minimo, insignificante lo sforzo per portare le otri di acqua purissima di fonte su per le colline terrazzate. Lucidissime le foglie di menta, smosse dalla brezza, riconducono alla mente dei braccianti periodi di frizzante euforia; la cannella, aspra e pungente, rievoca le battaglie del passato; coriandolo e cumino, uniti insieme in ceste foderate di lino, ricordano il volto della terra, i suoi occhi profondi e neri, oscurati da un sabbia color cinabro. Si ricaveranno unguenti, distillati, balsami, fondamenti di teocrazia persino. Ma il giusto prezzo per tutto questo glorioso raccolto, è alto e inflessibile. Si poggia il mondo su un centrale perno, esserevisibile, essere importante. Non esiste in questo paese di vento profumato un simile comandamento politico. Esso è un paese che proietta un’ombra assai longilinea, ma che si assottiglia sempre di più, sino quasi a divenire inesistente. Dove si trovi, la terra del pepe nero e della citronella, non è possibile dirlo. Non esiste mappa ne sentiero che vi conduca. Ma se per caso, doveste incontrare un viandante, che porti con sé il sentore della noce moscata, vago ma distinguibile sulla sua pelle, sui capelli e negli occhi, interrogatelo sulla sua provenienza. Probabilmente, avreste l’unica via per le porte del paese e del vento.